Da Carneade a lusso, l'evoluzione di Palmieri
“Se potessi scegliere io, rimarrei tutta la vita a Roma”, queste erano le parole di Emerson Palmieri, pronunciate meno di un anno fa. Parole che stonano inevitabilmente con le contingenze della vita e (soprattutto) del calciomercato. Il giovane e non più sconosciuto terzino sinistro brasiliano, infatti, ieri ha firmato con il Chelsea di Antonio Conte, aprendo la strada a una nuova avventura.
È finita, dunque, qui la storia di Emerson Palmieri nella Roma, storia che è stata un racconto molto particolare e a tratti romantico. Il classe ’94, infatti, arrivò quasi in sordina dal Santos, a seguito di un’operazione decisamente low cost dell’allora DS capitolino Walter Sabatini: il primo anno in prestito gratuito, il secondo, invece, in prestito con obbligo di riscatto (poi esercitato) a 2 milioni di euro.
Dalla sua prima convocazione con la Prima squadra (nella sfida del 12 settembre 2015 contro il Frosinone in campionato) sono passati più di due anni e la reputazione del brasiliano ha subìto un andamento decisamente ascendente, pur non partendo da un punto molto alto. Tutti i tifosi giallorossi (e non solo quelli), infatti, ricorderanno sicuramente gli sciagurati preliminari di Champions League della doppia sfida contro il Porto della stagione 2016/2017: nella partita di andata (17 agosto) Palmieri entrò prepotentemente nelle ire della tifoseria per aver regalato un calcio di rigore alla compagine portoghese, e conseguentemente l’1-1, al Do Dragao al termine di un match dominato dai ragazzi di Spalletti; nella sfida di ritorno (23 agosto) all’Olimpico, finita 0-3 per i lusitani, invece, il brasiliano si rese protagonista per l’aver rimediato il secondo cartellino rosso (dopo quello di De Rossi), a causa di un’entrata killer ad inizio ripresa su Corona.
In quella brutta parentesi calcistica, dunque, Palmieri toccò il punto più basso della sua storia nella Roma, cominciando una lenta e faticosa risalita nelle gerarchie della squadra e dell’allenatore Luciano Spalletti. Dopo qualche panchina, infatti, il classe ’94 ha cominciato a vedere sempre più sistematicamente il terreno di gioco, fino a diventare il titolare inamovibile nel ruolo di terzino sinistro. Il bilancio di fine stagione, infatti, gli diede ragione: Palmieri disputò ben 36 partite (2595’), siglando un gol e confezionando un assist.
Nella stagione odierna, invece, complice uno straripante Kolarov, il giovane brasiliano è finito di nuovo ai margini della squadra, anche a causa dell’infortunio al legamento crociato del ginocchio sinistro (occorsogli nella partita di chiusura della stagione passata contro il Genoa) che ha costretto il club ad operare forzatamente sul mercato. Finora, infatti, il rendimento del ragazzo ha visto solamente 2 presenze all’attivo (contro SPAL in campionato e Torino in Coppa Italia) per un totale di soli 105’ giocati.
Il ragazzo sconosciuto del Santos, dunque, è divenuto un lusso troppo prezioso per le casse di una società da anni alle prese con la quadratura dei bilanci e con la spada di Damocle del Fair play finanziario sopra alla testa. Un lusso che il DS Monchi, dopo il placet di Pallotta, ha trasformato in una certezza, piuttosto indolore, per fare cassa (29 milioni di euro tra parte fissa e bonus) senza provocare particolari patemi d’animo alla tifoseria capitolina.
Il Carneade Emerson non esiste più. Good luck!