La Gazzetta dello Sport, Iaria: "Vi spiego perché la Roma ha accumulato tanti debiti". AUDIO!
Marco Iaria, giornalista de La Gazzetta dello Sport, è intervenuto in diretta a Stadio Aperto, trasmissione di TMW Radio. L'intervista inizia dalla crisi economica del calcio italiano e dal prossimo mercato: "Considerate che già nel mercato di gennaio c'è stato un primo effetto importante della pandemia, soprattutto sulle operazioni a titolo definitivo. In generale il calciomercato italiano, tranne qualche eccezione, viaggiava già con operazioni di scambio o valutazioni gonfiate artificialmente per generare plusvalenze. Se prendiamo la Juventus, leader industriale d'Italia, le operazioni come Ronaldo e de Ligt non sono più state replicate e non credo lo saranno neanche nell'immediato futuro. Questo perché la pandemia, forse in maniera irrimediabile, ha affossato i conti delle società già gravati da costi enormi, frutto di uno shopping compulsivo degli anni precedenti che ha portato a far lievitare spese di trasferimento e ingaggi. Dipenderà poi dalle scelte dei singoli club, e ora mi riferisco per esempio al Milan: alla luce della crisi di liquidità e di ciò che è successo negli ultimi 5-10 anni, si trovano in una situazione diversa rispetto a Inter e Juve. Ha un indebitamento finanziario molto più basso, 100 milioni contro 400, ed ha una proprietà che ha deciso di investire per ripianare le perdite di bilancio: questo li porta ad avere più margine d'azione nelle prossime sessioni di mercato. Non significa però che potranno fare colpi da 50-60 milioni, anche per via del fatturato molto più basso rispetto alla concorrenza: di certo, però, la strategia di Elliott di versare continuamente capitale per mantenere basso il debito, gli concede un margine più ampio di Inter e Juventus".
Che fine fanno i debiti? Chi sono i creditori, e che atteggiamento hanno?
"Complessivamente la Serie A ha 2,8 miliardi al netto del credito, ed è il doppio rispetto a dieci anni fa. Di questi una buona metà è costituita da debiti verso le banche: i principali creditori sono quelle e gli istituti di finanziamento. Poi un mezzo miliardo abbondante di fornitori: sono debiti pendenti anche con i calciatori, che sono aumentati negli ultimi tempi. Mi viene in mente il caso dell'Inter in questa stagione, con le difficoltà a rispettare certe scadenze. Le società, come ogni impresa italiana, hanno beneficiato delle sospensioni di alcuni versamenti contributivi, e la possibilità di spalmare certi impegni entro 24 mesi. Di certo è stato un beneficio, perché si è ridotto il costo del lavoro, ma è solamente un'azione in cui si posticipa e si va ad aumentare il debito: se non ci sono soldi le strade sono due, o si va in tribunale perché ti viene presentato il conto oppure grazie a figure statali si ricontrattano i termini e diluiscono i pagamenti sia sotto forma privata e pubblica, aggiungendo però così debito al debito. Le prospettive non sono affatto rosee per il calcio italiano".
Come ha fatto la Roma ad aver accumulato tutti questi debiti?
"Al di là dei numeri specifici, il problema della Roma è che tra gli effetti della Champions c'è stato quello di portare alcune società perennemente in bilico tra borghesia ed élite del calcio, e quindi tra partecipazione o meno alla Champions, cosa che sposta tanti milioni in un anno. L'anno in cui i premi Champions sanavano il budget, le strategie e le ambizioni venivano riadattate".
Non bastavano le cessioni pesanti che hanno fatto?
"L'ambizione di posizionarsi all'interno del circolo dei club da Champions li ha portati a fare il passo più lungo della gamba. Ma senza partecipare con continuità, un anno sì e l'altro no, si è trovato questo tipo di contraccolpo quando è mancata la lucidità di saper guardare oltre. Anche il Napoli è una delle società in bilico, un corrispettivo della Roma che ha sempre aumentato gli ingaggi ma allo stesso tempo ha tenuto la barra dritta evitando di capitolare quando non si è assicurata la partecipazione alla Champions. Un secondo problema della Roma sono state scelte tecnico-sportive al di sotto delle aspettative, alcuni ingaggi fuori misura e non produttivi. La conseguenza di tutto questo è che Pallotta per cedere la Roma si è dovuto accontentare di un corrispettivo molto basso, e di una minusvalenza rispetto all'investimento della sua cordata dal 2011 in poi. La prospettiva, per Friedkin, era quella di dover ricapitalizzare il club già dall'indomani dell'acquisto, e infatti hanno messo subito 150 milioni".
Si è parlato in questi giorni anche dei pagamenti agli agenti.
"La FIFA sta studiando una riforma, contestata dagli agenti, che prevede un tetto di massimo 10% sulle operazioni. Il meccanismo però ha portato alla sostituzione del ruolo dell'agente con quello dell'intermediario: ormai per qualsiasi operazione le società si affidano a terze parti. In teoria sono due le figure del calcio, club e atleti, ma oggi ce n'è una terza, quello che intermedia e a volte risolve anche problemi societari causati spesso dall'incapacità delle personalità societarie. Al di là delle norme, se si è creato questa specie di mostro è perché l'hanno fatto le società stesse".
A cosa servono allora i direttori sportivi?
"Anche questo è uno dei grandi temi. In sostanza si può riassumere in soldi che fuoriescono dal sistema in sé e per sé. Se certe figure sono diventate insostituibili, la colpa è delle società e anche di certi atleti che avanzano richieste contrattuali insostenibili. Vivono fuori dal mondo".
Siamo quelli più indietro tra i grandi campionati europei?
"Sì, in un ventennio abbiamo accumulato un grande ritardo. La grande contraddizione della Serie A rispetto al resto è che ovunque si sono concepiti gli investimenti sul medio e lungo termine, mentre qui abbiamo bruciato tutto subito. La grande colpa è stata poi quella di non riuscire a far produrre un aumento della competitività nonostante un'enorme spesa sportiva. Da un lato scelte tecniche sbagliate, dall'altro però si è creata una gigantesca bolla del calciomercato, che non ha eguali in Europa. In certe sessioni sembrava come se la Serie A e la Premier League avessero la stessa forza economica: quello delle plusvalenze gonfiate, per esempio, è un tema tutto italiano".
Ripartire dagli stipendi dei calciatori è una soluzione populistica?
"No, non lo è. Dovrebbe essere però adattata a livello europeo, visto che si parla sempre di competitività immaginatevi cosa succederebbe con una norma che tagli gli ingaggi sono in Italia. Pensate al danno rispetto alla concorrenza... In sede europea però non se ne parla. Qualora si applicasse la cosa, l'altro tema da introdurre, e in particolare per l'Italia dovrebbe essere un obbligo, è reinvestire il tesoretto su infrastrutture, know how, formazione e vivai. Se si lascia alla libera scelta degli imprenditori e dei proprietari, non otterremo nulla. Si potrebbero introdurre criteri più stringenti e costringere le società a investimenti virtuosi".