Julio Sergio: "Questa sera vince la Roma 2-0"

15.01.2021 10:41 di  Marco Rossi Mercanti  Twitter:    vedi letture
Julio Sergio: "Questa sera vince la Roma 2-0"
Vocegiallorossa.it
© foto di Federico De Luca

In esclusiva ai microfoni di "Taca La Marca", è intervenuto Julio Sergio. L'ex portiere della Roma, amatissimo dai tifosi giallorossi, nonché ex estremo difensore del Lecce in Serie A, ha raccontato i suoi derby, la sua esperienza a Roma e nel nostro campionato e non solo, segnalando anche dei talenti del Brasileirao. Ecco le parole di Julio Sergio, attuale viceallenatore del Coritiba (ultimo nel Brasileirao) e membro dello staff di Gustavo Morinigo, ex tecnico della Libertad che è appena sbarcato nel club.

L'arrivo alla Roma?
«Sono arrivato alla Roma su segnalazione di Zago, che aveva giocato con me due volte, nel Santos e nella Juventude. Parlò con la Roma tramite un procuratore, Alessandro Lucci, e venni invitato dal club a sostenere un provino di una settimana. Alla fine sono rimasto un mese, fino al termine della stagione 2005-06, e dopo sono stato confermato in rosa firmando un contratto di un anno. Così sono entrato nella Roma»

Il ruolo di terzo portiere?
«Sono stato il terzo portiere della Roma per tre anni e mezzo, Spalletti mi definì "il miglior terzo portiere del mondo". La cosa più importante per un portiere, a maggior ragione per chi svolge quel tipo di ruolo, è avere la testa giusta: difficilmente un terzo portiere giocherà, però può succedere ogni tanto e devi essere sempre pronto. Io diventai il titolare perché Doni era infortunato, Artur che era il secondo non era piaciuto e mi ritrovai ad esordire contro la Juventus, quando non me l'aspettavo».

La Roma dei brasiliani?
«Rodrigo Taddei è stato il giocatore più importante per il mio inserimento alla Roma: mi è stato vicino e mi ha aiutato ad ambientarmi, è stato davvero un grande e mi ha fatto sentire a casa. Io, Doni e Artur avevamo un buon rapporto in campo e in allenamento, visto che lavoravamo sempre assieme, però non eravamo amici e non ci frequentavamo con costanza lontano dal calcio. Magari per qualche compleanno, ma nulla di più. Quello che mi ha dato più tranquillità e mi ha fatto conoscere l'Italia è stato Taddei, è stato fondamentale insieme al mio procuratore Alessandro Lucci che parlava portoghese e mi ha aiutato tanto. Non è mai facile stare tre anni senza giocare, però io stavo davvero bene a Roma: mi piaceva la città, mi piaceva lo staff di Trigoria e mi sono sempre trovato molto bene. Sapevo che, lavorando duramente, un giorno avrei avuto la mia occasione, e così è successo».

Il debutto con la Roma e i derby?
«Il mio debutto avviene contro la Juventus, nell'ultima gara di Luciano Spalletti, facendo una buona prestazione nonostante la sconfitta, e poi sono diventato titolare l'anno dopo con Ranieri. Ho vissuto tanti momenti felici, ma senza dubbio il miglior momento della mia carriera è stato proprio in un derby, la sfida contro la Lazio del 18 aprile 2010, che fu un match estremamente particolare. Siamo andati sotto subendo un gol quasi casuale, molto strano: in quel momento eravamo una grande squadra e giocavamo molto bene, però i derby sono partite a sé, dove può succedere di tutto ed è molto difficile fare previsioni. Mister Ranieri prese una scelta coraggiosa, sostituendo Totti e De Rossi nell'intervallo, e due minuti dopo ci fu quel rigore contro la Lazio: solitamente li tirava Rocchi e noi avevamo studiato lui e in seconda battuta Hernanes, invece tirò Floccari che li calciava raramente. Io ho parato il rigore, poi Mirko Vucinic ha segnato due gol straordinari e abbiamo vinto in rimonta: è stata una sensazione unica e davvero indescrivibile, perché in quel momento eravamo primi e abbiamo creduto ulteriormente allo scudetto, e perché avevamo dato una gioia enorme ai tifosi. Purtroppo quel sogno non si è mai realizzato: sarebbe "bastato" vincere tutte le ultime 5-6 partite e avremmo conquistato lo scudetto, invece non è successo questo. Il calcio è così, è stata una grande delusione».

La previsione di Toni?
«Ho raccontato varie volte questo episodio. Io e Luca Toni eravamo in camera assieme in ritiro, prima del derby vinto in rimonta col rigore parato a Floccari. Scherzavamo, guardando la tv, e lui mi ha detto "Pari un rigore e io faccio gol". O forse viceversa, non ne sono sicuro. La previsione si è quasi avverata, io ho parato un rigore. Toni non ha segnato, però abbiamo vinto grazie a Vucinic. Luca è un ragazzo fantastico, un amico. Posso dire di essere onorato di aver fatto parte di quello spogliatoio, e di aver difeso i pali della Roma per quasi due anni».

Il rapporto con la Roma?
«Ho sempre detto, scherzando, che mi mancano tre cose dell'Italia e di Roma, visto che non torno nel vostro paese da molti anni. Il mio metabolismo, perché ero magro, bello e senza capelli bianchi. Il modo in cui si mangia in Italia e a Roma, fantastico. E... la mia busta paga (ride). A Roma sono stato benissimo, da re. Una volta ho chiuso per errore il mio appartamento con dentro la chiave, e non riuscivo più ad aprire la porta. Chiamo i pompieri dicendo: "Sono Julio Sergio, sono rimasto chiuso fuori di casa". Sono arrivate quattro macchine, un camion e 12 pompieri per aiutarmi: alla fine ho regalato loro 14 magliette, posso dire (ride, ndr) che mi sono costate di più loro che se avessi comprato una porta nuova. Ero a casa, Roma è una città incredibile».

Il derby?
«Mi piace la Roma di Fonseca, come propone il gioco e com'è disposta in campo. Il derby è sempre un match diverso, contano tanto la testa e la pressione extracampo di cui vieni caricato nei giorni prima della partita, dove tutti parlano solo di quel match: è un'altra storia rispetto a ogni sfida della Serie A. Vedo molto bene la Roma, mi piace come gioca a pallone e la sua idea di calcio: non è pronta per lottare per uno scudetto, ma può tranquillamente arrivare in Champions League e dovrà essere felice se raggiungerà quel traguardo. Con Fonseca sta giocando bene. Personalmente mi auguro che la Roma possa vincere sempre, sarò sempre un loro tifoso. Un pronostico? 2-0 per "noi", sono molto fiducioso».

La Serie A?
«Sono felice di vedere che la Serie A stia tornando un grande campionato: negli ultimi anni Bundesliga e Liga sembravano molto più avanti, poi la Serie A ha ritrovato qualità e un modo di giocare più offensivo. Anche le piccole squadre, il Sassuolo ad esempio, giocano un grande calcio: la Serie A è un grande campionato, sono arrivati tanti grandi giocatori e altri arriveranno. Tanti club possono lottare per vincere: la Juventus che ha grandi giocatori, l'Inter, la Roma, il Napoli, la Lazio che ha fatto molto bene l'anno scorso. Così dev'essere, per far tornare la Serie A tra i migliori 2-3 tornei d'Europa".

Spalletti e Ranieri?
«Mister Ranieri è un signore, una persona squisita che porta nel mondo del calcio la gentilezza, il rispetto e la cortesia con cui ogni uomo dovrebbe essere trattato in ogni settore. Porta questi valori in un mondo che, purtroppo, non sempre li mette in mostra. Ho un rapporto bellissimo con lui, col suo allenatore dei portieri Claudio Pellizzaro e tutto il suo staff, che mi ha dato molta fiducia. Spalletti è una persona perbene, ma è un po' "matto", ogni tanto può sorprenderti con scelte e mosse che non ti aspetteresti, quando gli partono i cosiddetti "cinque minuti". Mi ricordo che, nel giorno del mio esordio contro la Juventus, sono andato nello spogliatoio poco prima della riunione tecnica, quando scendevo per farmi la barba e mettermi a disposizione, e pensavo di andare in panchina. Lui passa, con la testa e la faccia piena di schiuma da barba perché si stava radendo a sua volta, mi dà una botta sul petto con la mano e mi dice: "Sei pronto?" e gli ho risposto che sono sempre pronto. Lì ho pensato che avrei giocato, e nella riunione tecnica Spalletti me l'ha confermato: abbiamo perso, ma ho giocato un buon match».

Totti e De Rossi?
«Francesco Totti è come lo vedete tutti. Scherza, ride, non l'ho mai visto arrabbiato. Sempre alla mano, con tutti. Da lui ho imparato tanto fuori dal campo, perché riusciva sia ad essere un campione, un fenomeno diverso dagli altri, che una persona normalissima e tranquilla nel privato, che non vede mai il lato negativo delle cose ed è sempre positivo. Mi ha insegnato tanto come uomo: poteva comportarsi diversamente, da primadonna, ma non l'ha mai fatto. De Rossi è romano e romanista, come Totti un tifoso del club prima che un calciatore della Roma: ha una grinta, una personalità e una cattiveria agonistica pazzesche. Forte come giocatore e come uomo, sempre interessato all'attualità e a ciò che succede fuori dal campo: merita tutto ciò che ha ottenuto nella sua straordinaria carriera, e credo che diventerà un grande allenatore. Non mi ha sorpreso vederlo "costretto" a chiudere in Sudamerica, perché le società sono e devono essere più grandi del singolo calciatore, anche se ha dato tanto nessun giocatore sarà mai più grande del club. Questo discorso valeva per Francesco e Daniele: molti giocatori che hanno dato tanto alle loro società, poi sono andati via. L'amore e l'affetto dei tifosi fanno molto piacere, lo dico per esperienza personale, però poi ci sono le scelte del club, che deve fare ciò che ritiene giusto per vincere. Noi, e con noi intendo la Roma, dobbiamo vincere uno scudetto, a prescindere dalla presenza o meno dei romani in rosa: la Roma deve superare questo discorso e puntare a vincere campionato e Champions in futuro».

La Curva Sud?
«Stupenda, bellissima. Quando entri in campo e vedi tutti con le sciarpe, senti il boato, senti cantare l'inno... Una sensazione indescrivibile e difficile da rendere a parole. Si fa tanta fatica per arrivare in un club come la Roma, e quando entri in campo sentendo quell'affetto dei tifosi e sapendo che tiferanno per il loro club e anche per te, è davvero bellissimo. Ti senti capace di tutto».

Roma-Inter 2-1 e Roma-Sampdoria 1-2?
«La rosa dell'Inter, quando ci giocavamo tutto contro di loro, era molto più forte di noi: loro avevano 20 giocatori che potevano essere titolari ovunque, noi eravamo una buona squadra con qualche giocatore capace di fare la differenza, ma eravamo più discontinui. Mirko Vucinic ha fatto grandi cose, io ho disputato una grande stagione nel 2009/10 e altri hanno giocato bene, ma loro erano più forti di noi e hanno vinto tutto meritatamente. Giocando al massimo delle nostre forze e dando tutto abbiamo perso il campionato all'ultima giornata, col gol di Milito contro il Siena, e la Coppa Italia sempre col gol di Milito, che ha segnato in tutte le gare decisive per il Triplete: ultimo turno di Serie A, finali di Champions e di Coppa Italia. Per noi era sempre una fatica, ma anche un piacere giocare contro l'Inter: la partita vinta 2-1 contro di loro, con gol decisivo di Luca Toni, è una delle più belle che abbia giocato nella mia vita. Vincemmo e diventammo primi, poi purtroppo non è andata come speravamo».

Il pianto in Brescia-Roma 2-1?
«In quella partita mi feci male alla caviglia facendo una bella "ca..ata". Non dovevo uscire, come mi disse il preparatore dei portieri Pellizzaro che ribadì che avevo fatto un solo errore, ma davvero grosso: ero convinto di arrivare per primo sul pallone, e invece mi sono fatto molto molto male. Non avevamo più cambi e non volevo uscire: avevo aspettato tre anni per giocare il primo match con la Roma, ero diventato titolare e non sarei uscito neppure se fossi rimasto con una sola gamba. Mancavano cinque minuti e sono rimasto in campo, ma mi faceva molto male: ancora non lo sapevo, ma mi ero rotto un osso del piede e lesionato i legamenti della caviglia. Sono stato lì, e sono anche diventato un meme perché mi faceva molto male e piangevo con un matto ogni volta che mi muovevo. Però era giusto restare in campo, volevo aiutare la squadra. Quel momento, forse, mi ha ulteriormente avvicinato ai tifosi romanisti: per me è stato un gesto naturale, perché volevo provare a pareggiare quella partita, per loro un gesto d'onore e amore per la maglia. Il loro amore per me è aumentato a dismisura dopo quell'episodio, e mi fa piacere essere ancora nei cuori dei tifosi dopo tutti questi anni, anche se ora alleno e sono in Brasile da anni».

La semifinale di Champions League?
«Di Francesco è un grande conoscitore di calcio, ha uno staff di altissimo livello ed è una persona squisita: è stato uno dei migliori allenatori che ho avuto, e sarò sempre in debito con lui perché ha creduto tanto in me, portandomi al Lecce e dandomi una chance. Purtroppo non ho giocato come dovevo e non ho aiutato lui e il club, che lottava per non retrocedere: non avevo la testa giusta e non sono stato il vero Julio Sergio, poi mi sono infortunato e tutto è andato male. Sono stato felice di vedere Di Francesco in semifinale di Champions con la Roma: sono tifoso del club e guardo più partite possibili dei giallorossi, tifando come se facessi sempre parte della squadra. Roma mi ha dato tanto: grandi emozioni, un bel contratto, i miei figli sono nati lì... La mia storia con Roma è infinita, sentirò sempre un legame col club e la città, e anche domani (oggi ndr) sarò lì a soffrire per il derby come un tifoso qualunque. E posso dire che la vita da tifoso è una vera mer*a: sei sempre lì a soffrire, nervoso, in tensione, è difficilissimo. Molto meglio fare il calciatore che il tifoso (ride)».

Cuadrado e Muriel al Lecce?
«Entrambi erano giovani e avevano grandi qualità. Cuadrado giocava esterno alto perché avevamo Oddo, mentre Muriel era il centravanti. Non voglio esagerare, ma Muriel ha quei movimenti in cui è molto similare a Ronaldo: il cambio di passo, il dribbling nello stretto... Si vedeva che avevano entrambi enormi qualità, poi si sono confermati e stanno facendo ancora molto bene».

I portieri della Roma?
«Mi piacciono entrambi, sono portieri esperti. Mirante conosce molto bene il calcio italiano, Pau Lopez ha fatto molto bene fino al primo derby, poi ha perso il posto e ora è tornato a giocare bene: si alternano, ma io penso che il club dovrebbe puntare con continuità su uno solo dei due portieri. Servono sicurezze, l'alternanza sul lungo periodo può essere deleteria in un club come la Roma: credo che sarà così, e che la società e Fonseca prenderanno una decisione presto. I tifosi mi dicono "Se fossi ancora qui, saresti tu il titolare", ma io nel calcio di oggi forse non sarei neppure sceso in campo! Io sono basso per gli standard attuali, ora vogliono tutti i portieri da 1,90/2m: non importa se non prendono la palla, però i portieri devono essere altissimi (ride)».

L'allenatore Julio Sergio?
«In Italia ho lavorato con Spalletti, che tatticamente è molto forte, con Ranieri che riesce a tirare fuori il meglio da ogni ambiente ed è molto organizzato, con Rudi Garcia che secondo me è il tecnico perfetto per le sue qualità, con Luis Enrique e con Di Francesco. Questo ha avuto un peso importante nella mia scelta di diventare allenatore: anche quando non ho giocato e sono stato (purtroppo) ai margini, ho imparato tanto, e anche da Christian Panucci. Ho avuto tanti maestri, e tutti quei momenti sono stati fondamentali per fare ciò che faccio oggi. Provo a portare qui le idee italiane, anche se non è facile trasportare quella filosofia in Brasile: tatticamente i giocatori sono molto diversi, il clima è diverso, qui per andare dal nord al sud ci vogliono 8 ore ed è un altro calcio. Sono però molto soddisfatto di quello che faccio oggi. Sono stato per due partite l'allenatore ad interim del Coritiba (ultimo nel Brasileirao), con un ko contro il Goias e uno 0-0 nel derby contro l'Athletico Paranaense, e ora sono il vice di Gustavo Morinigo, che è appena arrivato ma è un grande allenatore che ha ottenuto buoni risultati col Paraguay e col Libertad, in campionato e in Libertadores (dov'è arrivato ai quarti, eliminato dal Palmeiras finalista). Sto imparando molto con lui, ho un lungo percorso di fronte per diventare il primo allenatore di un club: voglio lavorare duramente, conquistarmi una chance ed arrivarci preparato in ogni settore. Poi, una volta che avrò conquistato il mio spazio in Brasile, vorrei allenare in Europa, magari proprio in Serie A e in Italia. Un talento del Coritiba da segnalare? Difficile dirlo: conoscevo già questi giocatori, ma lavoro con loro da soli 10 giorni».

I portieri del Brasileirao?
«Mi piace Cleiton (Red Bull Bragantino): è un grande portiere, ha un grande fisico. La gestione dei portieri nel Brasileirao, oggi, è diversa da un tempo: ogni big ha portieri molto esperti, come Cassio (Corinthians) che ha giocato in Olanda nel PSV, Diego Alves (Flamengo) rientrato dalla Spagna o Tiago Volpi (San Paolo) che si era imposto in Messico. Credo sia giunto il momento per i giovani di imporsi e trovare il proprio spazio. Il portiere che mi ha maggiormente colpito, tra i giovani, è Hugo del Flamengo: è un grandissimo talento, che sono sicuro emergerà nei mesi a venire e credo possa fare molto bene in Europa».

Il Santos?
«Sono molto legato al Santos, ho giocato lì per tre anni vincendo due volte il Brasileirao e perdendo la finale di Libertadores contro il Boca nel 2003. Noi eravamo una squadra molto giovane, loro avevano Tevez, Burdisso, Schelotto, Abbondanzieri ed erano una grandissima squadra, con enorme esperienza: in quel periodo vinsero molte Libertadores, mentre noi eravamo ragazzini di 22/23 anni che si divertivano giocando e sono sbarcati poi in blocco in Europa dopo quel fantastico anno. Io alla Roma, Alex al Chelsea, il terzino destro era arrivato in Nazionale e poi si fece male nel suo momento migliore, Andrè Luiz andò al Marsiglia, Leo e Paulo Almeida al Benfica, Elano allo Shakhtar e poi al Man City, Renato al Siviglia, Diego al Porto facendo poi una grandissima carriera, Robinho è diventato grande. Eravamo molto forti, ma poco esperti: forse con un pizzico d'esperienza in più, viste le nostre doti, avremmo vinto. Veder tornare il Peixe in finale, quest'anno, mi ha reso molto felice. Parlavamo poco fa, nel pranzo con lo staff del Coritiba, di questo Santos: è davvero sorprendente il modo in cui riescono costantemente a reinventarsi, sfoderando giovani talenti dal nulla, a ciclo continuo. Ogni mese nasce un fenomeno. Marinho è un fenomeno, lo conoscevamo da tempo e sta disputando una stagione incredibile, Lucas Braga l'altro esterno è giovane e molto talentuoso, e poi c'è questo centravanti, Kaio Jorge che fa un lavoro pazzesco ed è molto forte: credo che possa fare bene in Europa in futuro. Sono riusciti ad assemblare una squadra molto competitiva, che contro il Boca ha mostrato un'intensità incredibile e riesce a fare gol con grande facilità: dovranno sfidare il Palmeiras, un'altra grande squadra, in una finale che sarà molto aperta e molto difficile».

I talenti del Brasileirao?
«Di Kaio Jorge ho già parlato in precedenza, è un ragazzo che può fare tutto. Ha tecnica, predisposizione al sacrificio, dedizione, senso del gol e pur non essendo molto alto è sempre sul pallone e fa sempre i movimenti giusti. Il Santos ha questa predisposizione per i giovani: ogni sei mesi/un anno sfoderano un talento e poi hanno Cuca, un allenatore enorme che ha già vinto la Libertadores con l'Atletico Mineiro. Brenner è un altro giocatore dalle qualità assolute: il Brasileirao sta sfoderando molti talenti, che hanno bisogno di crescere con calma e quando sbarcheranno in Europa avranno bisogno di quella pazienza e fiducia che hanno già in patria. Lo stesso discorso vale per Gabriel Menino, che è perfetto per il calcio più dinamico e veloce che vediamo ora in Brasile. Potrebbe sbarcare in Europa, ma avrà bisogno di tempo per confermarsi: quel tempo che due talenti assoluti come Coutinho e Gabigol non hanno avuto all'Inter, salvo poi affermarsi in altre piazze dove invece hanno avuto fiducia assoluta. Questi ragazzi arrivano spesso da situazioni difficili, economicamente e non, s'impongono nel calcio brasiliano e poi arrivano in Europa, dove si pretende che siano incisivi da subito e li si carica di pressioni enormi: credo che i tre giocatori che abbiamo citato, se messi nelle giuste condizioni, potrebbero fare molto bene nel Vecchio Continente».