Marcelino García Toral: flessibilità in campo, durezza fuori

27.04.2017 20:15 di Gabriele Chiocchio Twitter:    vedi letture
Fonte: Redazione Vocegiallorossa - Gabriele Chiocchio
Marcelino García Toral: flessibilità in campo, durezza fuori
© foto di Daniele Buffa/Image Sport

Alla folta lista dei possibili successori di Luciano Spalletti, si è aggiunto da qualche giorno il nome di Marcelino García Toral, che si ricorda per la recente esperienza al Villarreal ma che ha lavorato con Monchi a Siviglia, a dire il vero in una delle stagioni meno positive degli ultimi anni degli andalusi. L’attuale DS giallorosso puntò su di lui per migliorare quanto (non molto) fatto da Gregorio Manzano nella precedente annata, non riuscendo però nell’intento: fuori in Europa League addirittura ai playoff (in contemporanea con la Roma, contro l’Hannover 96), fuori in Copa del Rey ai sedicesimi di finale, addirittura esonerato dopo il KO interno contro il Villarreal della ventiduesima giornata, la settima partita di fila senza vincere in Liga. Di certo, se l’accostamento alla Roma di Marcelino fosse solamente un’associazione di idee, non sarebbe la più brillante.

LA RINASCITA AMARILLA - Come detto, Marcelino è salito alla ribalta del calcio europeo per ciò che è riuscito a fare sulla panchina del Villarreal. Dopo la rovinosa retrocessione del 2012 di una squadra che vantava in rosa gente come Gonzalo Rodríguez, Borja Valero e Giuseppe Rossi e che giocava la Champions League, il presidente Fernando Roig fu costretto dalle ambizioni dei giocatori e dal rispetto della politica finanziaria del club a smantellare parte del gruppo, cedendo tutti e tre i giocatori precedentemente citati oltre a Nilmar e Diego López e a molti degli altri che potessero generare risorse utili a non affondare. La Segunda División è economicamente un inferno e, prima ancora di ottenere risultati, la priorità era quella di sopravvivere. Ciononostante, gli uomini rimasti a disposizione - tra i quali lo storico capitano Marcos Senna e gente come Jaume Costa, Mateo Musacchio, Bruno Soriano e Manu Trigueros, oggi tutti punti fermi del Submarino - permettevano di aspirare al pronto ritorno in Primera, in quello che verosimilmente sarebbe stato l’unico tentativo prima della rinuncia anche ai pochi pezzi pregiati rimasti. Proprio per questo motivo, non fu considerato accettabile il settimo posto al quale la squadra si attestava dopo il girone d’andata sotto la guida di Julio Velázquez e il 14 gennaio 2013 il tecnico fu sostituito da Marcelino, con la precisa missione di recuperare il terreno perduto: esattamente un girone dopo, un gol di Jonathan Pereira decise lo scontro diretto con l'Almeria permettendo al tecnico di festeggiare il secondo posto e la sua terza promozione, dopo quelle ottenute con il Recreativo Huelva e il Real Saragozza.

MULTIFORME IN CAMPO - E quello sarebbe stato solo l’inizio: da neopromosso, nella stagione 2013-2014 il Villarreal di Marcelino ottenne il quinto posto e la qualificazione all’Europa League, risultato confermato (da sesto in classifica) nella stagione successiva senza l’ausilio della mancata partecipazione alla coppa e migliorato nel 2015-2016, quando oltre alla semifinale europea persa contro il Liverpool il Submarino Amarillo centrò il quarto posto e l’accesso ai playoff di Champions League. Tre stagioni in cui il Villarreal, pur rimanendo nel canone del 4-4-2 e preferendo non prendere gol più che farne a raffica, ha cambiato modo di far giocare i suoi uomini, adattandosi di volta in volta a giocatori e contesto. Nella sua prima annata in Primera sulla panchina del Villarreal, potendo contare sulla possibilità di giocare due sole competizioni, Marcelino impostò il suo stile su una sola parola: intensità. Senza nascondersi, il tecnico metteva ben chiare le carte sul tavolo: con una squadra tecnicamente inferiore ad altre, il modo migliore di tenere il campo era quello di pressare alti e aggredire costantemente, per tornare il prima possibile in possesso del pallone e rifiatare con esso tra i piedi, cercando poi la supremazia territoriale per mezzo di palleggio e geometrie rare per una squadra neopromossa. Un canovaccio decisamente meno proponibile quando c’è da giocare la domenica e il giovedì ogni settimana, e infatti nel 2014-2015 il suo Villarreal subì una lenta ma visibile metamorfosi: non una squadra passiva, ma attenta a mettere in atto determinati meccanismi solo in altrettanto determinati momenti della partita, concedendo meno campo alle spalle quando c’è da farlo e studiando attentamente l’istante in cui far scattare il recupero forzato della sfera. Una serie di accorgimenti in grado di far assorbire senza grossi problemi la gestione del triplo impegno e di tracciare la strada dell'annata migliore della sua carriera: il suo terzo Villarreal si trasformò una squadra completamente opposta alla sua prima versione, pronta a fare muro molto in basso difendendo corta e stretta davanti alla porta di Sergio Asenjo e a ripartire lanciando l’azione per le punte. Il quarto posto di quell’anno arrivò con 35 gol subiti, la quarta difesa della Liga, e appena 44 segnati, il quattordicesimo attacco del campionato, segno di enorme concretezza dimostrata anche in Europa League, dove solo lo Sparta Praga riuscì a far gol nell’allora El Madrigal.

SAPERE FIN DOVE ARRIVARE - Per ottenere prestazioni e risultati dai suoi, Marcelino esibisce un carattere molto duro ed esigente, in partita come in allenamento: “Credo ciecamente nell’idea che si gioca come ci si allena. Per questo esigo molta intensità in allenamento: non concepisco che un calciatore si stanchi di allenarsi”. E, chiaramente, a tanta richiesta corrisponde un limitato livello di sopportabilità da parte dei suoi giocatori. Non che sia un problema, giacché i cicli di lunga durata non fanno per lui: “Non sono un sostenitore degli esempi di Ferguson o Wenger: credo sia meglio trattenersi nello stesso club per tre o quattro anni, perché poi si finisce a prendere cattive abitudini. La routine è negativa, è meglio cercare nuove sfide dopo questo periodo”. Anche perché quando qualcosa viene meno, Marcelino è il primo ad accorgersene: dal Recreativo andò via sostenendo che “nel giro di qualche mese si sarebbero potuti rompere i meccanismi che avevano portato a determinati risultati l’anno prima”, a lasciare Il Racing Santander nel 2008, con in tasca una qualificazione per la Coppa UEFA, ci pensò addirittura a marzo, e allora era la prima stagione in panchina. “Non sono un ingrato, ma questa storia bella e inaspettata potrebbe cambiare, è difficile confermarsi quando gli obiettivi raggiunti sono più alti di quelli previsti”. Sincerità, schiettezza, forse paura (come lui stesso ammise), visto che anziché giocarsi l’Europa col Racing preferì i soldi del Real Saragozza che gli corrispose un salario secondo solamente a quello di Bernd Schuster sulla panchina del Real Madrid, ma, se non altro, chiarezza di intenti.

NESSUN COMPROMESSO - E, appunto, consapevolezza: probabilmente è lui stesso a sapere che la sua indole genera contrasti che a loro volta portano alla fine del rapporto. A Vila-Real ne ha avuti con Giovani dos Santos, accusato in allenamento di scarso impegno e difeso dal compagno Bruno Soriano, con Cani, addirittura ceduto all’Atletico Madrid, con Eric Bailly, bisognoso di sostituzione e lasciato in campo in un match contro il Real Madrid con una spalla - poi si scoprì - sublussata, e con Mateo Musacchio, in quello che fu l’episodio determinante per il suo addio. Il difensore non si allenò insieme ai compagni per tre settimane durante la preparazione estiva perché in attesa di capire se sarebbe stato ceduto al Milan e, una volta naufragata la trattativa e rientrato in gruppo, non gli fu affidata dal tecnico la fascia da capitano in un’amichevole contro il Deportivo la Coruña, in assenza di Bruno Soriano. L’idea di Marcelino era quella di reinserire Musacchio in rosa solo gradualmente, facendogli saltare il doppio playoff di Champions League contro il Monaco; una decisione non approvata dai compagni e neanche dalla società, normalmente vicina all’allenatore. Il motivo era presto detto: a quel preliminare, fondamentale a livello economico, avrebbero dovuto partecipare tutti i migliori a disposizione, compreso Musacchio, per massimizzare le possibilità di passaggio del turno. L’esonero fu conseguenza di una situazione arrivata - anche sorprendentemente - oltre il livello di sopportazione, a causa del suo modo di essere e di una precisa scelta della società dovuta a bisogni non dissimili da quelli della Roma, e a divergenze in sede di calciomercato. Elementi di contatto, ma anche possibili controindicazioni a una scelta con pro e contro ben precisi e definiti, sicuramente di discontinuità rispetto ad altre effettuate nel passato.