Male con Zeman, meglio con Andreazzoli: il De Rossi che infiamma la Sud è ancora un miraggio
Parli di De Rossi e ti si apre un mondo. Un universo in cui le mezze misure faticano a trovare cittadinanza, uno microcosmo a tinte bianche e nere, come i tasti di un pianoforte. Perché De Rossi divide, perché De Rossi fa discutere come forse mai è accaduto nell'ultimo decennio di storia romanista. Succede a Roma, dove una tifoseria innamorata incondizionatamente ha smarrito, strada facendo, quella straordinaria compattezza nei confronti di un giocatore che ha sempre definito Roma e la Roma “un orgoglio”. Suona strano per un calciatore, una bandiera, un uomo che ha abbracciato la Roma a vita. Ma è questo il leitmotiv che accompagna le sue ultime stagioni in giallorosso. Uno spartito dal quale diventa arduo poter leggere le sue prestazioni all'interno del rettangolo verde senza venire contaminati dalle vicende di mercato che lo hanno riguardato e dalla personalità di un ragazzo sincero con le proprie idee che mai, a dire il vero, sono risultate banali. De Rossi spacca anche per la sua schiettezza. Difficilmente Dante lo collocherebbe fra gli ignavi, quelli cioè che nella loro vita non fecero né bene, né male. Daniele, del resto, non è certo uno abituato a fare zero a zero, non solo in campo.
Non è stato sempre così. Qualcosa sembra essersi incrinato a partire dall'anonima stagione targata Ranieri prima e Montella poi in cui il rendimento del centrocampista di Ostia è sensibilmente scaduto insieme a quello di un gruppo costruito qualche anno prima da Spalletti e inevitabilmente giunto al capolinea di un ciclo fino a quel punto entusiasmante. Un'annata da ricordare più che per gli interventi in campo per quelli dinanzi ai taccuini. L’accorata difesa del portiere Doni contro gli attacchi di parte di alcuni media lascerà il segno.
La svolta sembra esserci con l'avvento di Luis Enrique sulla panchina giallorossa nonostante sulla testa del giocatore penda la spada di Damocle del contratto in scadenza. Il tecnico asturiano lo mette al centro del suo progetto. De Rossi si esalta con il nuovo modulo fatto di fitti passaggi orizzontali piuttosto che di verticalizzazioni e la Roma già a dicembre sembra aver trovato la quadratura del cerchio. Nel frattempo il romanista accetta la proposta del club dopo un'estenuante trattativa condotta dal calciatore in maniera trasparente anche per quel che riguarda le sue ambizioni economiche. La dirigenza giallorossa lo accontenta anche perché De Rossi antepone, ai suoi interessi, quelli della Roma rifiutando un contratto faraonico del City ma soprattutto evitando di lasciare il club capitolino con un pugno di mosche nell'ipotesi di un suo trasferimento. Quando tutto sembra andare per il meglio però la Roma si scioglie come neve al sole e con lei De Rossi. A gennaio la squadra si smarrisce rimanendo fuori dall’Europa.
Con Zeman, a giugno, la società compie l'ennesimo ribaltone tecnico mentre sopraggiunge l’immancabile tormentone De Rossi-Manchester City. Il mediano, il 21 agosto, è costretto a ribadire la sua volontà di rimanere a Roma. “Sto bene qui e non ho mai chiesto a nessuno di andare via”, le sue parole alla vigilia del campionato. Nonostante l’entusiasmo per l’arrivo del boemo, per De Rossi arriva la prima entrata a piedi uniti del suo allenatore che in sede di presentazione afferma di non considerarlo un regista quanto piuttosto un intermedio. Il tempo darà ragione al tecnico giallorosso e la parentesi in chiaroscuro con Luis Enrique non potrà bastare a convincerlo del contrario, ma è l’alternativa al centrocampista di Ostia a fargli perdere credibilità. Zeman infatti gli preferisce in cabina di regia il greco Tachtsidis, voluto fortemente nel corso del mercato. E’ un fallimento. De Rossi, infatti, dopo i primi due match giocati dal primo minuto retrocede nelle gerarchie del mister. L’ex trainer del Foggia non sembra convinto della funzionalità dell’azzurro nel suo congegno tattico. Nello scialbo pari contro la Sampdoria all’Olimpico gli viene preferito Tachtsidis per 63’ minuti di gioco. Nella disfatta di Torino, il 29 settembre, contro la Juventus, De Rossi viene invece impiegato da intermedio con il greco a dettare, o quantomeno a provarci, il ritmo della manovra giallorossa. Al termine della gara con i bianconeri qualcosa fra il calciatore e il suo allenatore si incrinerà irreparabilmente. Zeman incautamente accusa lui ed Osvaldo di scarso impegno sottoponendoli ad una discutibile gogna mediatica. De Rossi, di rimbalzo, invita a non prendere in giro i tifosi circa le velleità di scudetto della Roma tanto sbandierate dal boemo. Le conseguenze per De Rossi sono immediate: escluso contro l’Atalanta. La nemesi per il giocatore della Roma arriverà con la nazionale dove, coccolato e difeso da tecnico e compagni, firmerà proprio con Osvaldo la vittoria contro l’Armenia. L’aria fresca respirata con l’Italia, però, non gli giova all’interno del Gra. Zeman continuerà a provarlo nel ruolo di intermedio in un centrocampo a tre senza però ottenere apprezzabili risultati. Il giallorosso infatti sembra perso in una linea mediana dove con l’inamovibile Florenzi e Tachtisidis manca la necessaria qualità. Col Palermo, il 4 novembre, finisce nuovamente in panchina anche se il peggio deve ancora arrivare. Zeman lo rilancia in occasione del derby. De Rossi, provato da questo tira e molla a distanza con il tecnico, è teso e i suoi nervi cedono inevitabilmente al 44’ del primo tempo quando assesta un destro in pieno volto a Mauri fra lo stupore generale. Tre giornate di squalifica per lui e rientro, con la Fiorentina, come rincalzo. Col Milan, prima della sosta natalizia, la grande occasione per Daniele. Schierato al centro della mediana, incanta tutti. Manca soltanto il gol a rendere la sua prova da incorniciare. Sembra un punto di svolta della sua stagione e di quella dei suoi compagni ma invece è l’ennesimo fuoco di paglia. Alla ripresa, a gennaio, la Roma torna la solita squadra distratta tatticamente e deconcentrata: contro il Napoli, al San Paolo, si abbatte l’uragano Cavani che rade al suolo i giallorossi. De Rossi perde nuovamente il posto di titolare e lo ritroverà solamente a Marassi quando, seduto sulla panchina capitolina, ci sarà Aurelio Andreazzoli che nel frattempo ha rilevato Zeman. Il nuovo allenatore comprende come egli sia una pedina insostituibile in mediana. L’ex tattico di Spalletti, però, gli affianca un uomo di qualità come Pjanic, così come fece il tecnico di Certaldo con Pizarro e come continua a fare in nazionale Cesare Prandelli con Pirlo. I risultati cominciano a vedersi almeno sul piano dell’equilibrio. La Roma, non esaltante ma meno sprovveduta, comincia a far pesare la sua maggiore caratura sugli avversari e pian piano anche la classifica ne beneficia. Anche il centrocampista giallorosso sale di rendimento pur se il miglior De Rossi resta ancora un miraggio. Finanche nella disfatta di Palermo, con i suoi compagni non pervenuti, resta l’unico a salvarsi nell’indecente primo tempo contro i rosanero.
Nel complesso diventa difficile fare un bilancio della sua stagione. Indubbiamente De Rossi non ha convinto sul piano delle prestazioni eccezion fatta per alcune sporadiche occasioni. Indiscutibilmente, però, il giocatore ha patito più di tutti un modulo a lui poco congeniale e un allenatore, Zeman, poco propenso a cucire un’idea di gioco a misura degli uomini a disposizione. Daniele non è certo stato l’unico. Lo stesso Pjanic, calciatore dalle qualità cristalline, per lungo tempo ha dovuto soccombere al fondamentalismo boemo prima di potersi ritagliare uno spazio in questa Roma.
L’auspicio è che proseguendo sulla strada della normalità, finalmente intrapresa con Andreazzoli, anche giocatori come De Rossi possano esprimere al meglio le proprie qualità. Il giallorosso vorrà sicuramente continuare a farlo con la maglia che ama. “Non mi ci vedo lontano da Roma”, ha più volte sostenuto. Il centrocampista dovrà però ritrovare quell’entusiasmo e quella voglia che lo ha contraddistinto e che lo ha reso beniamino del pubblico dell’Olimpico.