Rüdiger: "Nel 2017 subii insulti razzisti da alcuni tifosi della Lazio: De Rossi si preoccupò per me come nessun altro"
Ïn una lunga lettera sul The Players’ Tribune, l’ex difensore della Roma Antonio Rüdiger è tornato su quanto accaduto in un derby contro la Lazio, quando fu vittima di episodi di razzismo da parte di alcuni tifosi biancocelesti.
«Mi chiamavano negro. Urlavano “vaffanculo, vai a mangiarti una banana”. Ogni volta che toccavo il pallone, facevano i versi della scimmia. Non erano poche persone, era un grande settore dei tifosi della Lazio durante il derby del 2017. Non era il primo abuso razzista che ho subito, ma è stato il peggiore. Era odio vero. Lo riconosci quando lo vedi nei loro occhi. In quel momento non reagii, non uscii dal campo. Non volevo dare loro quel potere. Ma dentro, non importa quanto sei forte, se sei un essere umano con un cuore che batte, sei marchiato da questa cosa per sempre. Quando qualcosa del genere accade, come reagisce il mondo del calcio? Le persone dicono “Ahhh, è terribile”. I club e i giocatori postano un piccolo messaggio su Facebook: “End racism!”. Tutti si comportano come se “sono solo pochi idioti”. C’è un’inchiesta, ma niente accade veramente Ogni tanto, c’è qualche campagna sui social media, tutti si sentono bene con loro stessi e poi si torna alla normalità. Niente cambia per davvero. Ditemi, perché la stampa e i tifosi e i giocatori si sono uniti per fermare la Super Lega in 48 ore, ma quando ci sono ovvi abusi razzisti in uno stadio o online è sempre “complicato”? Forse perché non si tratta solo di pochi idioti sulle tribune. Forse perché la cosa è più profonda.
Sapete, penso spesso a Daniele De Rossi. Venne da me dopo la partita contro la Lazio e mi disse qualcosa che non penso di aver mai ascoltato prima. Era molto trasportato e arrabbiato. Si sedette accanto a me e disse: “Toni, so che non mi sentirò mai come te. Ma lascia che io capisca il tuo dolore. Cosa ti sta passando per la testa?”. Non fece un tweet, non postò un quadrato nero. Lui si preoccupò. Molte persone nel calcio dicono cose pubblicamente, ma non vengono mai da te personalmente. De Rossi voleva veramente sapere come mi sentissi. Era un’icona del club, una leggenda. Quando arrivai nello spogliatoio la prima volta, solo vederlo mi rese nervoso come un bambino. Ma nel mio momento più difficile, De Rossi si preoccupò per me come essere umano. Voleva capire.
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Durante il mio primo derby, non avevo avuto alcun problema con i tifosi della Lazio, non c’era stato nessun abuso. Ma prima del mio secondo derby, feci un’intervista e mi chiesero dell’allenatore della Lazio, Simone Inzaghi. Dissi: “Non lo conosco molto bene, ma sento dire che sta facendo un buon lavoro”. Intendevo dire che non lo conoscevo personalmente, ma il giornalista fece suonare la cosa come se io stessi disprezzando Inzaghi. Come se stessi dicendo di non aver mai sentito nulla di lui. Stava solo provando a mettere benzina sul fuoco per qualche click. Questo è quando la macchina dei social media fa partire le polemiche e tu non puoi farci nulla. Quando arrivò la partita, io ero diventato il cattivo».