Cudicini: "Vi racconto il mio Mourinho"

12.09.2021 13:07 di  Marco Rossi Mercanti  Twitter:    vedi letture
Cudicini: "Vi racconto il mio Mourinho"
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© foto di Insidefoto/Image Sport

Carlo Cudicini, ex portiere del Chelsea, è stato intervistato dal sito di Gianluca Di Marzio, soffermandosi su José Mourinho. Queste le sue dichiarazioni:

Il primo ricordo di Mourinho?
“In conferenza si era presentato come lo Special One, ma con noi non faceva proclami. Sono convinto che lui lo pensi tuttora di essere il migliore, fa parte del suo essere, ma in spogliatoio si affermava con i fatti. C’era un’atmosfera speciale a livello di club, di chiunque lavorasse per quella squadra”. 

Cosa vi ha portato?
“Eravamo già una grande squadra, quello che però oggettivamente mancava era la mentalità vincente, la consapevolezza della forza del gruppo. Credo che questo sia stato quello che ha portato Mourinho nel suo primo anno al Chelsea. È riuscito a trasformare un’ottima squadra in una squadra vincente. Ha cambiato l’attitudine: ci ha reso più presuntuosi, cattivi, sfrontati. Il Chelsea era già una squadra con un grosso potenziale e grandissimi giocatori ma mancava la consapevolezza di poter vincere. E soprattutto, Mourinho è riuscito a far si che tutti i giocatori remassero dalla stessa parte: sia chi giocava ogni domenica, sia chi era meno coinvolto, eravamo tutti concentrati sull'obiettivo. È stato il vero punto di forza di Mourinho ovunque sia andato, il motivo principale per cui è riuscito a far vincere al Chelsea il campionato inglese dopo 50 anni”.   

Perché ha perso il posto con Mourinho?
“Io ero il titolare del Chelsea quando è arrivato José, poi ha preso la decisione di far giocare un giovane Petr Cech davanti a me. Come me c’erano altri giocatori titolari prima che si sono trovati a non giocare, ma eravamo i primi a spingere e a volere il bene della squadra. È una sua dote caratteriale, ma è frutto anche dal fatto che quando ti trovi in un ambiente sano che rema dalla stessa parte ti senti coinvolto. Credo sia stata la cosa più importante in quel gruppo. È chiaro che all’inizio non ero contento nonostante tutte le cose positive che mi ha potuto dire. Quando fai lo sportivo ad alto livello c’è un grande senso di competizione, quindi è chiaro che non puoi essere contento di essere sostituito. Lui, però, mi ha dimostrato coi fatti quello che a parole mi diceva: quelle frasi non erano dette soltanto per darmi il contentino e me l’ha dimostrato. Mi faceva giocare partite di Premier nonostante Cech fosse disponibile, mi ha fatto giocare semifinali di FA Cup. Questo per un giocatore, per quanto dura la realtà sia, fa capire che hai il rispetto dell’allenatore, e questo fa la differenza. Abbiamo ovviamente avuto le nostre discussioni, fa parte del gioco, ma quando hai il rispetto della persona poi ti rendi conto che ci sono cose più importanti, ovvero il successo della squadra, del gruppo”. 

Mourinho ha messo sempre il rispetto al primo posto?
“Credo sia una cosa fondamentale per tutti, anche al di fuori del calcio. Io ad esempio avrei dovuto giocare la finale di League Cup contro il Liverpool da titolare, ma ero stato espulso la partita precedente. Allora José mi ha concesso l’opportunità di guidare la squadra all’entrata in campo per la finale. È un onore che di solito si concede alle leggende del club: quella partita volle esclusivamente che lo facessi io, un po’ perché avevo portato la squadra fino a quel punto, un po’ per rispetto nei miei confronti. Sono questi piccoli gesti che dimostrano il grande rispetto umano ancora prima che calcistico. Le cose vanno dimostrate coi fatti: nel mio periodo al Chelsea con lui, nonostante fosse un periodo difficile perché mi trovai a giocare meno, lui mi ha dimostrato tanto con questi piccoli gesti. Oggi ogni tanto lo sento ancora, l'ho rivisto anche da avversario con il Tottenham. Con la maggior parte dei giocatori riesce a instaurare un rapporto duraturo, anche quando non ti vedi per tanto tempo”.  

L'aspetto psicologico?
“L’aspetto psicologico è una delle cose in cui è stato precursore. Specialmente oggi, essere allenatore non è facile: le generazioni sono cambiate, bisogna capire sempre come relazionarsi a tutti. Una volta era un concetto più generale: l’allenatore era un martello con tutti. Oggi devi essere equilibrato e capire le personalità dei giocatori per far si che arrivi il tuo messaggio. Ogni giocatore lo riceve diversamente. Molte volte stuzzicava i giocatori per vedere le reazioni perché sapeva che ce l’avevano dentro. Se si ascolta la sua prima intervista al Chelsea si capisce che era un allenatore con tanta autostima, ma questo è lui. Quella che poteva sembrare arroganza poi si trasformava in consapevolezza, ha fatto capire alla squadra che potevamo già essere campioni, che eravamo già forti. Questo ci ha fatto credere in noi stessi. Nei momenti più negativi riusciva a portare l’attenzione su altre cose in modo che la gente quasi si dimenticasse che la squadra era in un periodo difficile. Questo toglieva molte pressioni dalla squadra, era bravo a difenderci, anche polemizzando se necessario: era il suo modo per distogliere l’attenzione sul momento difficile. È stato bravo a gestire le pressioni fin dal primo giorno”. 

Quanto si sente la sua leadership?
“Anche l’approccio negli allenamenti è stato diverso. Noi venivamo dall’esperienza con Ranieri dove la preparazione fisica si divideva dalla tattica e dagli allenamenti con il pallone. Quando è arrivato José, ha portato la sua filosofia che coinvolgeva sempre il pallone, sia che fosse lavoro tattico sia che fosse fisico. E quando metti sempre un pallone tra i piedi dei giocatori inevitabilmente hai una risposta diversa. Sono state queste cose a fare la differenza: ha portato novità, nel modo di lavorare, nei meeting, nella gestione del gruppo. C’era un’energia particolare durante gli allenamenti, si lavorava con una mentalità diversa: già dopo la prima partita casalinga contro il Manchester United era come se fosse scattato qualcosa”.