Piedone Manfredini racconta il derby a Oro&Porpora: "Quella volta che feci tuffare i laziali nel Fontanone"

08.03.2011 16:44 di  Paolo Vaccaro   vedi letture
Fonte: Oro&Porpora.it
Piedone Manfredini racconta il derby a Oro&Porpora: "Quella volta che feci tuffare i laziali nel Fontanone"
Vocegiallorossa.it
© foto di Alberto Fornasari

Pedro Manfredini, che ritirerà il premio Sette Colli Giallorossi giovedì 10 marzo parla in esclusiva a Oro&Porpora.it del suo feeling particolare con la porta biancoceleste. Nel suo primo derby realizzò due reti, in un altro addirittura una tripletta che fece perdere ai laziali una curiosa scommessa.

"Quella volta che feci tuffare i laziali nel Fontanone"

Pedro Manfredini, argentino di Mendoza, classe 1935, è un pezzo di storia della Roma. Iniziò a far parlare di sé quando ancora non aveva messo piede nella Capitale. Sì, proprio il piede, anzi, il “piedone”, un soprannome che lo accompagnò per tutta la sua carriera in giallorosso e di cui è lui stesso a ricordarci ancora una volta l’origine: "Stavo scendendo la scaletta dell’aereo che mi portava per la prima volta a Roma, quando un fotografo, Piero Brunetti, divenuto poi un mio caro amico, scattò quell’immagine che fu pubblicata su Momento Sera. Sembrava che avessi un ‘piedone’, colpa della prospettiva dal basso verso l’alto e delle scarpe all’inglese che facevano passare il mio 42 per un 46. All’epoca si viaggiava con l’abito buono, oggi i calciatori li vedi arrivare in pantaloncini e con le cuffie all’orecchio".

Facciamo un passo indietro: come arrivò in Italia?

"Evidentemente era nel mio destino. Mio nonno paterno era di Cremona, dalla parte materna avevo invece un parente che fu sindaco di Bisceglie. Era l’estate del ’59, mi ero appena sposato e con mia moglie stavamo sistemando la nuova casa. Ricordo che appena tornai dal viaggio di nozze mi telefonò il presidente del Racing, dove giocavo, convocandomi in sede perché c’erano dirigenti della Roma che volevano acquistarmi".

Come si svolse la trattativa?

"Ero stato segnalato al presidente D’Arcangeli da un suo amico tifoso del Racing. Quando me lo dissero pensavo fosse uno scherzo, chiesi un’ora di tempo per parlarne con mia moglie, ma decidemmo di provare l’avventura. Ricordo il primo colloquio in sede con i dirigenti che parlavano italiano e non capivo nulla. All’inizio fu difficile stare lontano dall’Argentina: oggi con 5 euro posso parlare 200 minuti al telefono con i parenti, all’epoca non sarebbero bastati due stipendi. Ma è anche vero che in Italia dopo un mese acquistai una macchina, in Argentina me la sognavo".

Appena arrivato fece subito centro nel primo derby…

"Sì, segnai una doppietta contro la Lazio. L’anno dopo feci anche meglio realizzando una tripletta e dopo la partita fu ancora più divertente".

Cosa successe?

"La sera tornai nella mia casa di Trastevere dove mi aspettavano tanti amici romanisti per festeggiare. Mi dissero di seguirli fino al Gianicolo perché c’erano i laziali che, avendo perso la scommessa, dovevano fare il bagno nel “fontanone”. Era inverno, faceva freddo, mi facevano pena poveracci… ma quante risate!"

Ha continuato a seguire la Roma da tifoso?

"Certamente! Dino Viola mi voleva sempre allo stadio, ero amico di tanti giocatori, mi invitavano alle cene e andavo ospite in trasmissioni. Da un po’ di tempo invece non vado più, ho avuto qualche problema a una gamba e stare seduto troppo tempo mi crea difficoltà, per non considerare la lontananza dei parcheggi".

Qual è stata la sua vita dopo aver smesso di giocare?

"Chiusa la carriera tornai in Argentina, poi mia figlia si sposò con un italiano e quindi decidemmo di stare tutti a Roma. Avevo un bar a piazzale Clodio, oggi invece vivo a Ostia dove mia figlia e mio genero gestiscono uno stabilimento e io li aiuto".