Capello: "Batistuta è stato fondamentale per lo scudetto. Totti è Roma. Ho avuto la fortuna di vederlo tutti i giorni per 5 anni. Ecco perché sostituivo sempre Montella. È triste vedere lo stadio mezzo vuoto"

09.12.2016 23:35 di  Redazione Vocegiallorossa  Twitter:    vedi letture
Fonte: Fox Sport
Capello: "Batistuta è stato fondamentale per lo scudetto. Totti è Roma. Ho avuto la fortuna di vederlo tutti i giorni per 5 anni. Ecco perché sostituivo sempre Montella. È triste vedere lo stadio mezzo vuoto"
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© foto di Federico De Luca

Fabio Capello ha rilasciato un'intervista a Fox Sports in merito allo scudetto vinto con la Roma.

Come arrivò alla Roma?
"Con Sensi ci incontrammo nel suo ufficio, in cui mi fece vedere i programmi e la formazione che aveva. Guardai la formazione e feci notare al presidente che la squadra era molto forte. Giocatori più forti erano in squadre importanti. Ero convinto di poter fare bene con la squadra. Così cominciò la mia avventura alla Roma. Con me lavorarono Lucchesi e Baldini oltre al presidente Sensi. La prima volta che visitai Trigoria il presidente mi accompagnò a visitare l’ala nuova che avevano costruito. Lui mi disse che quella parte sarebbe stata destinata alla Primavera mentre io gli dissi che sarebbe stata per la Prima squadra. Nella parte vecchia di Trigoria le camere erano sopra agli spogliatoi: i giocatori facevano fatica a fare 100 metri. Poi cominciai a fare anche altre cose: a Trigoria c’era confusione per i parcheggi. Dissi di numerarli per risolvere la situazione".

Cosa serviva alla squadra?
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La cosa principale era ridare fiducia alla squadra. Il primo anno facemmo un buon campionato. L’anno successivo serviva un bomber e comprammo Batistuta. Era un uomo che poteva garantirci 20/25 gol. Con lui non avevamo più scuse. È stato fondamentale per vincere il campionato. Di lui ricordo il gol al Verona: calciò una punizione da 25 metri in cui il pallone non si è mai abbassato. Era come un missile. Ho ancora nella testa questo gol.

Sulla Formazione?
"(Guarda un tablet con la formazione dello scudetto ndr) questa era la squadra che giocava un calcio offensivo e che ogni tanto mi faceva arrabbiare. Qualche volta si giocava con Delvecchio a sinistra, Totti, Batistuta e Montella e io mi lamentavo perché nessuno dei tre tornava. Quando dovevo fare le sostituzioni, visto che Emerson si arrabbiava perché era solo toglievo uno e capitava sempre a Montella. Montella era grandissimo giocatore d’area di rigore, Totti era il giocatore che poteva inventarsi una palla vincente, un passaggio, un calcio di punizione e mi sarei tolto una possibilità in più di vincere la partita. Ecco perché toglievo lui. Niente simpatie e antipatie. Perché un allenatore non può averle ma cerca sempre di mettere in campo la squadra migliore. Delvecchio faceva le due fasi, Cafu faceva sempre l’ala destra. Il centrocampo era in mano a Totti, poi c’erano Zanetti ed Emerson erano giocatori di qualità e di quantità. Candela era bravo a inserirsi: tecnicamente era uno dei più bravi giocatori che abbia incontrato. Qui mancavano Zebina o Aldair. A volte potevo giocare con tre difensori centrali. In porta c’era Antonioli che fece un ottimo campionato. Cominciammo il campionato. La chiave della stagione fu la partita contro il Milan a Milano. Entrai negli spogliatoi e dissi ai ragazzi di aver capito che avremmo vinto lo scudetto perché davanti a quel Milan la reazione era stata grande. I giocatori fecero di tutto per soddisfarmi e il pubblico ci seguì".

Situazione attuale?
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Adesso mi fa tristezza vedere lo stadio mezzo vuoto. Si parla di uno stadio troppo grande per tenere i tifosi di adesso. Ai miei tifosi era quasi insufficiente. La partita chiave di quel campionato fu Juventus-Roma: perdevamo 0-2 ed entrarono Montella e Nakata. Feci uscire Totti e fortunatamente la mia intuizione ebbe fortuna perché entrambi segnarono e pareggiammo".

Totti? 
"Lui è Roma. Totti è un giocatore che ha dato tanto, ricevuto tanto, un fuoriclasse che avrebbe potuto giocare in tutte le squadre del mondo. Scelta coraggiosa quella di restare a Roma e secondo me avrebbe vinto più titoli andando via. È una scelta di vita come quella di Riva che scelse di restare a Cagliari. Questi sono i giocatori che la gente vuole veder giocare e che io ho avuto la fortuna di apprezzare dal vivo tutti i giorni per 5 anni".

Sull'ultima partita contro il Parma?
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Se ripenso a quell’ultima partita mi ricordo che fu un momento difficile. Verso la fine ci fu l’invasione di campo. Entrai in campo e cominciai a urlare contro tutti perché avevo paura che qualche tifoso potesse dare un cazzotto o una spinta a un giocatore del Parma. Si sarebbe potuto rovinare tutto".

La festa per lo scudetto?
"Mi successe una cosa che nella mia vita non mi era mai capitata: quando si vince si fa baldoria tutta la notte perché si vince ogni tanto, non tutti gli anni. Quella sera ognuno andò con le proprie compagnie. Io chiesi alla moglie del presidente di fare una festa. Lei mi disse che avremmo fatto la festa il mercoledì perché bisognava invitare i politici. Questo è l’unico rammarico che mi è rimasto di quella gioia".

Il post scudetto? 
"Dopo la vittoria dello scudetto continuarono a far festa per 6 mesi. Dissi ai giocatori che avevamo vinto un campionato e non avevamo fatto altro che il nostro dovere. Dicevo loro che si doveva andare avanti che dovevamo lavorare di più ma era molto, molto difficile perché questa festa continuava e influenzava i giocatori con le radio romane che continuavano a elogiarci. In quel periodo ci fu una sconfitta in Coppa Italia e subito dopo una grande contestazione. 3000 tifosi ci vennero a contestare e il presidente decise di farli entrare. I tifosi devono essere rispettati ma le contestazioni devono essere civili. È stata un’avventura molto faticosa quella con la Roma ma anche gratificante e entusiasmante perché si fa fatica a lavorare a Roma, si fa fatica a far cambiare certe abitudini. Quando uno resta 4-5 anni a Roma alla fine è esausto e a me successe questo. Dopo 5 anni meravigliosi nella città più bella del mondo capii che non potevo più dare niente alla squadra e la squadra mi dava poco. Quando tornavo a casa parlavo con mia moglie e le dicevo che non riuscivo più a dare quello che avrei voluto”.