L'esonero di Mourinho e una politica societaria che non può funzionare

18.01.2024 07:30 di  Gabriele Chiocchio  Twitter:    vedi letture
Fonte: L'editoriale di Gabriele Chiocchio
L'esonero di Mourinho e una politica societaria che non può funzionare
Vocegiallorossa.it

È paradossale come in Italia, nella Roma e con questi risultati, la notizia di stamattina venga accolta con sorpresa. Dopo 29 punti in 20 partite, un’eliminazione dalla Coppa Italia non straordinaria come avvenimento in sé ma brutta per modalità, e un secondo posto in un girone di Europa League di bassa difficoltà, la proprietà ha deciso di sollevare José Mourinho e il suo staff dai loro compiti. Una decisione che, appunto, fosse stata relativa a quasi qualsiasi altro tecnico sarebbe stata naturale conseguenza degli eventi, ma che presa oggi, presa qui e presa con Mourinho diventa mediaticamente - e non solo - gigante.

Una scelta che i Friedkin hanno dovuto prendere da soli, perché il GM è dimissionario e al momento non c’è un’altra figura dirigenziale di stampo chiaramente calcistico; una scelta che per la proprietà è stata evidentemente molto difficile, perché se da una parte il peso dei risultati era diventato insostenibile, dall’altra la presenza di Mourinho nella Roma aveva senso di esistere di per se stessa dal momento in cui il portoghese era stato chiamato a lavorare nella Capitale. Mourinho era la figura che ha unito una enorme percentuale del popolo giallorosso, era la più grande delle decisioni prese dai Friedkin per far felici i sostenitori (e i loro clienti…), la garanzia di ricevere il livello minimo sindacale di contestazioni anche in momenti complicati come questo, l’apice di una politica che dal giorno 1 puntava sul discostarsi dal passato per ricreare entusiasmo e fiducia, anzi, fede, e con essi una presenza allo stadio praticamente continua da quasi due anni.

Mourinho questo lo aveva capito e anche lui dal primo momento in cui si è seduto sulla panchina ha cominciato a toccare quei tasti che qualcuno definirebbe giusti, perché alla fine qui basta poco per conquistare l’amore incondizionato della gente. E a fine 2023 aveva sferrato il suo attacco decisivo per ottenere il rinnovo di contratto, “casualmente” prima di una serie di partite che rischiavano di far prendere la bilancia di chi doveva decidere dalla parte dei risultati, come poi è effettivamente accaduto. I risultati, e non il gioco, perché questa dicotomia è alimentata in Italia senza un motivo preciso (o con un motivo precisissimo, dipende dai punti di vista): il risultato è lo scopo di ogni allenatore, sia esso di filosofia speculativa com’è Mourinho o di filosofia propositiva come possono essere stati altri, concetto che è stato totalmente ignorato in questi due anni e mezzo di reggenza portoghese.

I Friedkin hanno dunque aperto il portone della fortezza e adesso il popolo è scontento, come lo sarebbe stato in ogni caso alla fine dell’esperienza di Mourinho alla Roma, considerato che le perplessità sono state generalmente poche, anche in momenti di gravi difficoltà sotto tutti i punti di vista. Era tutto facilmente preventivabile dal 4 maggio 2021 e, in generale, è il risultato di una politica fatta di continui rimedi rapidi (anche costosi, come Mourinho appunto) e non di una costruzione di un’identità societaria razionale benché attenta ad alcune esigenze particolari che l’industria calcio e l’azienda Roma in particolare richiedono.

È bastata una sola decisione per far arrivare al pettine tutti i nodi e quei nodi ora andranno sciolti a partire da quello nuovo dalla sostituzione di Mourinho: Daniele De Rossi sembra chiaramente un nome adatto al proseguimento di questa politica, un’altra figura a cui (giustamente) si vorrà bene a prescindere e che magari pagherà meno il fatto di “non essere Mourinho” come hanno fatto molti dei vari successori qua e là, ma a giugno ci si ritroverà - a prescindere dai risultati - con una rosa quasi senza valore patrimoniale, con uno dei due migliori calciatori che andrà via per fine prestito e l’altro che continuerà a pesare più di quanto può fisicamente (letteralmente) rendere in campo, portata a questo stato anche per decisioni prese per accontentare l’allenatore. Stavolta sembra uno zero più delle altre: per due anni e mezzo si è preso tempo, ora bisogna iniziare a costruire veramente.